Viaggi letterari: A Monk’s House sulle tracce di Virginia Woolf
Come si sarà intuito, ho una vera e propria passione per il turismo letterario. Andare alla ricerca di case-museo, caffè e luoghi in cui hanno vissuto e lavorato scrittori e uomini “illustri” è un aspetto immancabile del planning dei miei viaggi, anche perché spesso dentro queste abitazioni si celano dei veri e propri tesori: residenze d’epoca che, oltre i cimeli e gli oggetti dell’artista in questione, custodiscono opere d’arte e preziose biblioteche come nel caso della Casa museo Keats-Shelley a Roma e sono, inoltre, un modo per rendere la visita di una grande città più originale, uscendo un po’ dai soliti circuiti turistici e museali. L’esperienza più emozionante che ho fatto in tal senso è stata la visita a Monk’s House, il cottage nell’East Sussex in cui Virginia Woolf visse col marito Leonard dal 1919 fino alla sua morte.
La casa oggi appartiene al National Trust che, grazie soprattutto ad un esercito di volontari, la gestisce in maniera encomiabile. Al primo piano vi abitano dei custodi per una cifra simbolica, impegnandosi a curare lo sterminato giardino e ad aprirla al pubblico. Per oltre dieci anni questo compito è spettato alla designers Caroline Zoob e suo marito e da questa esperienza è scaturito questo libro fotografico che spero di accaparrarmi presto.
Ricordo perfettamente ogni istante di quella giornata: la campagna inglese che sfilava dal finestrino, passeggiare sotto la shower rain e il dedalo di case basse nascoste da un groviglio di piante intricate. Ma, soprattutto, l’ansia tipica di chi ha un appuntamento importante. Ammetto con una punta di vergogna che sto sfociando nel groupismo, ma varcare la soglia della casa in cui ha vissuto la persona che maggiormente mi ha influenzato culturalmente ed emotivamente, ha avuto su di me un effetto bellissimo, una sensazione di benessere che mi sono portata dentro a lungo. È strano come alcuni posti siano letteralmente in grado di renderti felice!
Una casa in cui Virgina ha scritto la maggior parte delle sue opere e proprio grazie ai ricavati delle vendite furono possibili alcuni lavori di ristrutturazione ed ampliamento, come l’aggiunta della sua “stanza tutta per sé”, una camera da letto su un piano rialzato attaccato ma separato dalla casa. E questa descrizione della stanza dice già molte cose sul particolarissimo, fertile e travagliato microcosmo di una personalità complessa come la sua. Oltrepassando la ricchissima serra si entra nel mondo del Bloomsbury Group: i mobili, i dipinti, le decorazioni sono opera della sorella Vanessa Bell e di Duncan Grant, come il caminetto dalle piastrelle decorate con il faro di St. Ives in onore di Gita al faro, collocato nella camera da letto di Virginia. Moltissimi oggetti sembrano quasi dire che Virginia sia solo uscita per una passeggiata veloce, ha perfino lasciato qui il suo bastone preferito, ma tornerà in tempo per l’amatissima ora del tè. Oggetti pieni di significato più volte descritti nelle lettere o nei Diari, altri di uso comune accoccolati in un angolo come la cuccia del cane, o dimenticati distrattamente come una scatola di fiammiferi sul tavolo.
Nel silenzio uggioso di un agosto inglese ho oltrepassato il giardino, perdendomi tra i viali di rose e zinnie e, attraversato il frutteto e il prato col piccolo stagno, mi sono fermata per qualche minuto nel punto appartato lungo la siepe in cui un tempo si ergevano due olmi, Leonard e Virginia, sotto i quali sono state sparse le loro ceneri. Oggi i due alberi non ci sono più: Leonard è stato abbattuto da un temporale nel 1943 e Virgina è stato vittima della malattia degli olmi nel 1985.
E in fondo, alla fine di tutto, addossato al muro, il writing lodge, la dependance bianca in cui Virginia scriveva e si intratteneva coi suoi amici: Maynard Keynes, T.S. Elliot, Lytton Strachey, Roger Fry e molti altri ritratti nelle foto affisse sotto la tettoia. Guardando attraverso il vetro ancora una volta ho avvertito una sorta di sospensione del tempo, come se Virginia si fosse alzata dalla sedia per allontanarsi un attimo e io stessi spiando dalla finestra: sulla scrivania impilati i fogli di carta azzurra su cui amava scrivere e i suoi occhiali diligentemente riposti in un angolo per l’ultima volta.